27 Marzo 2020
CV019 – Diciannovesimo giorno di quarantena.
Siamo tutti forzatamente in casa, sopraffatti da un virus che ha
messo in ginocchio il mondo intero così velocemente da lasciarci
storditi e attoniti.
Le nostre case ci accolgono, ma ci è impedita ogni interazione
con l’esterno.
Dentro alle nostre mura domestiche cerchiamo protezione e
conforto ma non ricordiamo quasi più cosa significhi provare il
piacere di “tornare” in un luogo che ci rappresenti, che ci
assomigli, ritrovarlo intatto con i suoi profumi, i suoi colori e le sue
luci.
Il verbo abitare deriva dal latino Habitare (frequentativo di
habere, avere) che nel senso proprio significa continuare ad
avere, dunque avere consuetudine in un luogo, abitarvi.
Ma abitare non significa solo occupare uno spazio, invaderlo con
il proprio corpo, è qualcosa in più: un fatto intimo che comporta
l’attaccamento a qualcosa che ci rappresenta.
Ecco perchè la vera abitazione deve (dovrebbe) avere un
carattere, un aspetto di colori, oggetti, luci e materiali che, in
qualche modo, sia espressione di un sentire personale derivante
anche da esperienze di vita, dall’interazione con il mondo.
Una abitazione diventa tale quando in essa portiamo parti di noi
che abbiamo cercato (e trovato) vivendo.