L’etimo latino del sostantivo “rumore” rimanda a un insieme caotico di voci, una sorta di polifonia dove i canoni culturali che definiscono un’idea di musica si trovano sottosopra. Alle origini dei soundscape studies, la nozione di rumore si riferisce genericamente a un suono sgradevole, come è sgradito l’insieme delle componenti indesiderate che perturbano la precisione di una misurazione scientifica. Un rumore può costituire una componente di una situazione percepita come caotica. Ma quando nella matassa di un caos si riesce a identificare un filo da seguire, per esempio osservando una persistenza che diventa una traccia, è possibile iniziare a distinguervi l’articolazione di un discorso, tra quelli delle tante voci intrecciate che il caos contiene. Quando poi la quantità di stimoli sensoriali si dirada, presenze prima offuscate trovano maggiori possibilità di affacciarsi in primo piano. Il traffico stradale è la principale fonte di rumore ambientale nelle città europee. Durante la primavera del 2020, in molte città è stato cancellato quasi del tutto il caos che le animava, la densa matassa sonora rumorosa prodotta da motori, ruote, cantieri, voci, passi, … Come dei fantasmi – o come degli zombi? – sono emersi suoni prima inosservabili, rumori di fondo che, con le loro minute turbolenze, contribuivano al caos senza farsi notare. Penso soprattutto a quelli generati dalle infrastrutture, destinate comunemente a rimanere infra ma allora, invece, protagoniste supreme del paesaggio di solitarie passeggiate notturne. Lampioni, centraline elettriche e telefoniche, antenne per la telefonia mobile e sportelli automatici si sono manifestati all’udito come mai prima era stato possibile, tutti intonati sui 50 Hz della corrente alternata europea eppure ciascuno con la propria identità sonora, la propria serie di armonici, il proprio timbro, il proprio volume. Nella mia città ho imparato a distinguere le loro presenze, a riconoscerle da lontano, a tornare a trovare ogni sera quelle che mi erano più care. Ci torno ancora, ogni tanto. Aspetto, spesso invano, che il caos ordinato delle auto e dei passanti si diradi, per meglio ritrovare quei rumori di (s)fondo che sono stati i miei canti e le mie guide, durante quelle settimane sottosopra.