Il contributo di Sabrina Mezzaqui è basato su una successione di lettere che narrano un periodo di isolamento di tre mesi, vissuto dall’artista stessa, nell’isola di Pantelleria in un lontano inverno di una ventina d’anni fa. Ogni venerdì, a partire dal 17 aprile, la lettera presente viene sostituita con quella successiva in un andamento temporale dilatato che avrà la stessa durata dell’esperienza raccontata nelle missive.
Rekale, 4/1/99
Cara Sandra,
tra meno di una settimana sarò a casa e devo ammettere che da un po’ di tempo conto i giorni che mancano al ritorno. Mi sento come se avessi esaurito le mie risorse, che non posso più trovare tutto solo in me. Ho capito che ognuno di noi non basta a se stesso. Siamo una storia che ci raccontiamo ogni giorno, ogni volta che diciamo “io…”. E non possiamo raccontarcela all’infinito, dobbiamo poterci raccontare a qualcun altro e sperare che le rispettive narrazioni si annodino, si mescolino, interferiscano l’una con l’altra. Forse in ciò può appagarsi il nostro bisogno di sorprese ed avventure. Più che penso dunque sono, io ultimamente sento il bisogno di essere pensata: gli altri mi pensano dunque sono. Per questo forse mi piacciono le telefonate notturne, perché so che di notte si hanno pensieri più intensi (quelli che Giuliano chiama “urgenze emotive”).
E’ vero che quando si è soli si pensa all’amore, quando si è soli si fantastica di non esserlo. C’ho pensato molto. Perché questo bisogno di sentirsi emotivamente dipendenti da qualcuno? Perché ultimamente mi telefona così poco? Perché non mi mette più le musiche nel telefono? Perché a volte lo sento così distante e freddo? Quand’è stato l’ultima volta che mi ha telefonato? Quando mi richiamerà?… Basta! Stop! Spegni! Prova a prendere la vita come viene.
La mattina, dopo colazione, spesso ho i conati di vomito. Poi mi accorgo che è perché stavo inavvertitamente trattenendo il respiro.
E’ vero che il mio senso della realtà è solitamente molto vago, ma qui ancor di più. Ho sempre privilegiato i rapporti nella distanza, perché tutta questa distanza può essere riempita di immaginario. E probabilmente per continuare a mantenere una certa distanza anche da me stessa. Ora, dopo questi tre mesi, ho bisogno di contatti veri. Mi è capitato alcune volte, accarezzando il gatto oppure sola nel silenzio della notte prima di spegnere la luce, di provare un forte desiderio di avere un bambino. Non l’avevo mai avvertito così chiaramente prima.
Qualche notte fa mi sono sentita così sola che non avevo voglia di chiudermi in casa nonostante il buio. Allora sono rimasta seduta in giardino e ho registrato in una cassetta tutto quello che mi passava per la testa e che non potevo raccontare a nessuno. Riascoltarla fa una certa tristezza…
Mi è tornata in mente una cosa che mi disse Toril tanti anni fa quando ero ad Oslo: che la fragilità era la mia forza perché non la nascondevo.
La natura qui si manifesta con una potenza a cui non sono abituata: il vento è un diavolo e i temporali l’ira di dio, davvero. Non ti da tregua. L’altra notte, appena conclusa una telefonata carina con un amico che mi aveva messo di buonumore, è scoppiato un tuono tremendo ed è saltata la luce e al buio ho sentito la mia voce imprecare: “Ma cazzo! Non ci si può rilassare nemmeno un attimo!”. Mi hanno raccontato di come qui i fulmini distruggano tivù, segreterie telefoniche, computer, fax,… Ma quando c’è il sole è veramente un dono del cielo! Ed è bello notare come ogni specie di pianta ha un modo tutto suo di lasciarsi agitare dal vento, e come invece tremano i fiorellini nei prati e l’erba s’inchina ondulando come un mare. E come nel mare il sole, riflettendosi sull’acqua, fa le stelline che danzano sulle onde. In questi giorni sta fiorendo l’albero di mimosa davanti alla casa e ricorda la morbidezza di un pulcino.
Alberto una sera mi diceva che nell’isola si prova un abbassamento della creatività. Ci credo, è tutto così forte e bello e potente che ti riempie.
Ultimamente è così freddo, specialmente in casa, che faccio la doccia e mi lavo i capelli sempre più raramente, e vesto doppio di tutto: due maglioni, due paia di calzini, due pantaloni, uno sopra all’altro.
L’ultimo dell’anno, dopo il cenone, con Tiziana ed alcuni amici siamo andati a ballare in un circolo locale, su in paese. Nella sala, da un lato, stavano sedute le donne e dall’altra parte della sala tutti gli uomini a bere, fumare e parlare tra di loro. Quando iniziava la musica era l’uomo che si avvicinava alla donna prescelta e, puntandole contro il dito, la invitava a ballare: “Tu!”. Non ti dico le nostre facce quando venivamo interpellate in quel modo… Però mi sono molto divertita, seduta in mezzo alle donne, ovvio. Quando c’è stata “musica da discoteca” una bambina con le guance rosse ballava accanto a me cercando di imitare il movimento delle mie mani e faceva tenerezza.
Il micione ora ha una nuova Morosina, una gattina rossa, timida, che si tiene a distanza. Devo ricordarmi di fare razioni di cibo più abbondanti in questi giorni perché lui la invita a dividere i pasti. Mi mancherà il gatto, a casa…
Ho fatto una lista di proponimenti per il ritorno: comprare un computer portatile con abbonamento internet e posta elettronica; cellulare; andare tanto al cinema e vedere tutti i film che non ho visto in questi mesi; comprare un paio di scarpe coi tacchi (sono tre mesi che non indosso una gonna); organizzare tante cene e invitare gli amici; imparare a guidare e prendermi una macchina; ricominciare a leggere un quotidiano ogni giorno; sistemare la casa; comprare una tivù con video-registratore; dentista; piscina; smettere di fumare.
Non so ancora chi ci sarà all’aeroporto ad aspettarmi…
Domani è il mio compleanno.
Un abbraccio forte-forte, che più forte non si può.
Sabrina