Rumore – Silenzio – Creazione
(omaggio a Beethoven 1770-2020)
L’Agenzia Europea dell’Ambiente, nel suo rapporto annuale, dà rilievo alle sofferenze causate dal rumore: «Il rumore dell’ambiente nel quale viviamo rimane uno dei problemi più gravi; almeno il 20% della popolazione europea – circa 150 milioni di persone – vive in aree nelle quali i livelli del rumore sono considerati nocivi alla salute». Voluta dall’Unione Europea, attiva dal 1994, l’European Environment Agency ha sede a Copenhagen e vi aderiscono 32 nazioni. Mentre governi e parlamenti sembrano riflettere più che in passato sui modi possibili per ridurre l’inquinamento dell’aria, del mare, quello provocato dalla plastica e dalla massa dei rifiuti, i parametri relativi al rumore non catturano ancora l’attenzione e rimangono fuori controllo. Le cause principali risiedono nel traffico aereo, in quello urbano, nel rumore interno ad alcune fabbriche, nel consumo di musica, spesso involontario, ad alto volume.
I costi sociali che ne derivano sono altissimi: l’Agenzia registra «48000 casi di disturbi cardiaci, mentre 12.500 studenti hanno difficoltà nell’apprendimento frequentando scuole vicine agli aeroporti. 22 milioni di europei soffrono di disagi psichici e 6,5 milioni di disturbi del sonno a causa del rumore». L’obiettivo della riduzione di questi numeri, posto nel 2012, non è stato raggiunto, principalmente a causa dell’aumento del traffico aereo, ferroviario e automobilistico, quest’ultimo concentrato nelle maggiori aree urbane. Circa il 14% della popolazione italiana risiede in aree acusticamente inquinate.
Non ce ne accorgiamo quando il rumore c’è, perché ormai siamo assuefatti e le nostre orecchie – come dicono gli otorini – «hanno alzato la soglia»: stiamo diventando tutti più sordi, per legittima difesa. Lo percepiamo adesso, in questi giorni di forzata riduzione delle attività, di ogni tipo di traffico: le nostre città sono diventate meno aggressive, più silenziose. Nel Lemmario del XXI secolo che la Treccani si accinge a pubblicare, la voce Silenzio è stata scritta da Nicola Piovani. Questa la sua riflessione conclusiva: «L’ultimo film di Federico Fellini – La voce della luna – si conclude con un pensiero recitato dalla voce di Roberto Benigni, un pensiero che, col passar degli anni, ha assunto sempre più una valenza profetica: «Eppure io credo che se ci fosse un po’ più di silenzio, se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse qualcosa potremmo capire».
Associando silenzio a capire, Fellini fa scattare, per i musicisti, un cortocircuito forse involontario, certamente immediato.
Nell’ottobre del 1802, quando ha 32 anni, Ludwig van Beethoven scrive, indirizzandola ai due fratelli minori, Karl e Johann, una lettera conosciuta come Testamento di Heiligenstadt. Heiligenstadt è un borgo in collina nella campagna appena fuori Vienna. I viennesi vanno lì a passeggiare, a riposare. Beethoven vi ha abitato per sei mesi.
Uomini, voi che mi reputate o definite astioso, scontroso, misantropo, come siete ingiusti verso di me! Ignorate la ragione segreta che mi fa apparire così. Il mio cuore e il mio animo fin dall’infanzia erano inclini al sentimento della benevolenza e mi sono sempre sentito pronto a compiere azioni generose. Considerate, però, che da sei anni mi ha colpito un male che non si riesce a curare. Anno dopo anno mi sono illuso nella speranza di poter guarire, ma alla fine sono stato costretto ad accettare l’idea che la guarigione richiederà molto tempo, o forse sarà impossibile. Avevo un temperamento ardente, vivace, mi piaceva stare in società, ma sono stato obbligato ad isolarmi, a trascorrere la mia vita in solitudine. Se talvolta decidevo di non dare peso alla mia infermità, venivo ricacciato indietro dalla dura realtà della debolezza del mio udito. Ma non ero capace di dire alla gente: “Parlate più forte, gridate, perché sono sordo!”.
Essere musicista ed essere sordo. Un musicista può essere cieco, muto, ma come fa se è sordo? Diventato sordo, non nato sordo. Non puoi ascoltare il pianoforte che suoni, non puoi dirigere un’orchestra, non puoi dare lezioni. Perché la sordità ha colpito proprio lui? Come una pena del contrappasso: lui che desiderava rivolgersi all’umanità intera, che con la sua musica aveva l’ambizione di abbracciarla nella fraternità, proprio lui non poteva ascoltare le parole, le voci, la musica degli uomini.
Come potevo confessare la debolezza di un senso che in me dovrebbe essere più raffinato che negli altri e che un tempo possedevo in modo perfetto? Una perfezione che pochi musicisti possiedono, hanno mai posseduto. E che io non possiederò più. La mia disgrazia mi fa male due volte: per il dolore che mi provoca e perché mi costringe ad essere incompreso. Perdonatemi, se mi apparto da voi, quando invece vorrei unirmi a voi. Per me non esistono più lo svago, il piacere della conversazione, delle reciproche confidenze. Questa è la mia disperazione.
Quanto deve essere stato doloroso prima rendersi conto di diventarlo, poi accettare di essere un disabile. Arrendersi alla disperazione e alla malinconia, riconoscere che il tuo handicap è più forte della tua volontà? Beethoven non si è arreso. Nello stesso periodo in cui scrive il Testamento di Heiligenstadt, nei suoi appunti appare questa frase, questo indizio: «È giunto il tempo di prendere una nuova via». Il suono, che lui ormai non può più ascoltare, vivrà prima come un pensiero astratto, al quale bisogna dare una forma, un’organizzazione, una logica; poi, troverà la sua vera vita incontrando, scontrandosi con la materia di cui sono fatti gli strumenti e la loro energia.
Pochi anni dopo, una seconda riflessione, un secondo indizio: «Lascia che la sordità non sia più un segreto, neppure nella tua arte». Un segreto non lo era più: tutti sapevano che Beethoven era diventato sordo. Che cosa significa neppure nella tua arte? Che cosa sta chiedendo a se stesso, perché collega la propria arte alla sordità?
La mia arte, soltanto lei mi ha trattenuto. Mi sembrava impossibile dover scomparire prima di aver creato quelle opere che sentivo il bisogno, l’obbligo, di comporre. Solo per questo motivo ho trascinato avanti la mia esistenza, sapendo che in ogni momento il mio fisico può precipitarmi dalle migliori condizioni di spirito nella più cupa angoscia. Costretto a vivere da solo, entro in società soltanto quando lo richiedono le necessità più urgenti; ma appena cedo al desiderio di compagnia vengo sopraffatto dall’ansia, ho subito paura che si noti il mio stato. Così è accaduto anche in questi sei mesi che ho trascorso in campagna. E quale umiliazione ho provato quando qualcuno, vicino a me, udiva il suono di un flauto in lontananza ed io no, o ascoltava il canto di un pastore ed io ancora nulla.
«Beethoven è diventato sordo a causa della sua incredibile concentrazione interiore, del suo continuo cercare e fissare nell’ascolto. La sua sordità è dovuta ad una congestione dell’orecchio interno, provocata dal sovraccarico di quest’organo»: è il referto del medico che, nel 1827, esegue l’autopsia sul suo corpo. L’incredibile concentrazione interiore: diventato sordo, poteva sentire soltanto la musica che creava nella sua interiorità.
Pazienza. Questa è la virtù che ho dovuto scegliermi come guida, e adesso la posseggo. Ho preso la decisione di resistere sino alla fine, fino a quando alle Parche inesorabili piacerà spezzare il mio filo. Forse il mio stato migliorerà, forse no, ad ogni modo, ora, sono rassegnato. Essere costretti a diventare filosofi ad appena 30 anni non è una cosa facile e per l’artista è più difficile che per chiunque altro. Dio onnipotente, che mi guardi fino in fondo all’anima e vedi nel mio cuore, tu sai che esso è colmo di amore per l’umanità e del desiderio di fare del bene. Uomini, se un giorno leggerete queste mie parole, ricordate che mi avete fatto torto. E chi è infelice riceva conforto dal pensiero di aver trovato un altro infelice che, nonostante tutti gli ostacoli imposti dalla natura, ha fatto quanto poteva per elevarsi al rango degli artisti nobili e degli uomini degni.
Così racconta Omero, nell’Odissea: «Il taglio alla gamba di Ulisse era molto profondo; allora un giovane amico fasciò la ferita aperta e cantò un antico incantesimo che arrestò l’uscita del sangue». E nella Bibbia è scritto: «Soltanto quando Davide suonava la cetra, il re Saul trovava la calma e lo spirito malvagio si allontanava da lui». Beethoven chiamerà il movimento di un suo quartetto per archi, l’opera 132: Canto sacro di ringraziamento offerto alla divinità da un guarito. Non era guarito dalla sordità, era guarito dall’impulso di mettere fine ai suoi giorni. La mia arte, soltanto lei mi ha trattenuto. La musica era diventata il suo talismano contro la morte.
Questa lettera è stata ritrovata in un cassetto dell’ultimo appartamento dove ha abitato, a Vienna. L’ha tenuta con sé per 25 anni, senza spedirla, senza distruggerla. I suoi due fratelli, probabilmente, non l’hanno mai letta. Ma le parole del Testamento di Heiligenstadt non sono rivolte a loro. Sono scritte per noi, per permetterci di entrare nel suo silenzio, nel tumulto dei suoi dolori e della sua volontà, per provare a capire la verità di queste parole: «Nella mia musica non vi sono difficoltà di tecnica; ciò che la rende difficile è soltanto l’originalità, che non si lascia subito afferrare».